TITOLO : Primo martirio di San Sebastiano
DIMENSIONI : 40×50 cm
TECNICA : pittura ad olio
SUPPORTO : pannello telato
DISPONIBILE : no
PRESENTAZIONE DELL’OPERA : Il dipinto ad olio rappresenta il primo dei martirii subiti da San Sebastiano, che in verità morì gettato nella Cloaca Massima per ordine di Diocleziano.
RECENSIONE DELL’OPERA :
UN SEBASTIANO, MARTIRE, CHE SI DISCOSTA DALLA RAPPRESENTAZIONE TRADIZIONALE
Di Maria Forleo (nata a Francavilla nel 1984), pittrice, Diplomata presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce, sezione Pittura, abbiamo avuto modo di parlar in altre due circostanze:
- Nella Pasqua del 2003, quando, da poco iscritta all’Accademia, espose nella Mostra del Teatro Imperiali, Due volti: quello diafano della Vergine, a destra, ritto nella sua impenetrabile forza misteriosa, e quello reclinato del Cristo, a sinistra, le cui identiche tonalità cromatiche non lasciano trasparire i segni della atroce passione;
- e nella Pasqua del 2006, quando in occasione della presentazione del libro di Domenico Camarda: “La chiesa di Santa Chiara ed il rito del Venerdì Santo in Francavilla Fonana”, relatore mons. Angelo Putignano, arciprete emerito della Chiesa Collegiata, espose nella Chiesa di Sanata Chiara due opere ispirate dalle statue conservate in detta chiesa: la Cascata, cm 80×100, e la Vergine Addolorata con un disegno cm 35×50, con la corona in testa che guarda in alto verso destra.
Quest’anno 2010 vedrà, nella seconda metà di Aprile, la Città di Francavilla ospitare il Settimo Cammino delle Confraternite di Puglia, con l’allestimento anche di una Mostra nella Chiesa di San Sebastiano, un tempo sede della soppressa omonima congrega, ricadente nella giurisdizione della Chiesa dello Spirito Santo dove è allocata l’Arciconfraternita si San Bernardino da Siena, il cui priore è il sign. Cosimo Catanzaro, committente dell’opera della Forleo. Costui, in onore del santo titolare della Chiesa Ospitante, ha, infatti, commissionato alla Forleo un quadro riproducente il Santo.
Su pannello telato cm 40×50, la pittrice ci ha trasmesso, però, un San Sebastiano, legato si, ad un albero, e trafitto da frecce, ma che, contravvenendo alla iconografia ricorrente, presenta il capo non certo prossimo allo spasimo. Il capo di questo giovane e aitante tribuno militare è, infatti, reclinato a sinistra di chi guarda, e verso terra, con i lineamenti somatici di un uomo serenamente dormiente, e non, more solito, con il guardo esanime cercante il cielo, e in attesa della palma del martirio, portata da angeli svolazzanti che si apprestano a festeggiare l’arrivo di un nuovo martire.
La fonte letteraria di ispirazione è la “Passio“, tramandata in epoca medievale, secondo cui San Sebastiano non sarebbe morto per le frecciate, ma per la tremenda successiva flagellazione cui seguì l’annegamento nella Cloaca Massima, segno di castigo supremo e di damnatio memoriae, ordinati dall’infuriato Diocleziano, vistosi tradito da un suo uomo di fiducia.
Narra infatti la Passio che San Sebastiano, dopo una educazione religiosa a Milano sotto Sant’Ambrogio si recò a Roma nel 270, ed abbracciò la vita militare nel 283, divenendo per la sua prestanza fisica ed educazione letteraria, tribuno della prima coorte imperiale di Roma.
Quando l’imperatore Diocleziano scoprì che Sebastiano tradiva gli ordini da lui impartiti, aiutando i feriti e seppellendo i martiri lo condannò a morte, mediante frecce. Di fatto, però, il giovane che aveva già fama, nei ristretti ambienti cristiani, di essere un taumaturgo, non morì e ciò venne scoperto da Irene, moglie di Castulo, domestico (Cubiculario) della famiglia imperiale, divenuto poi martire. Costei tolse le frecce dal corpo di Sebastiano e lo curò amorevolmente guarendolo. La tela di Maria Forleo rappresenta questo momento della “Passio”.
Che trattasi di San Sebastiano ce lo dice l’iconografia che vede il santo colpito da frecce, e la presenza di un elmo romano sulla destra del quadro. Il resto però è frutto della fantasia dell’autrice che vede nel giovane santo un fisico di uomo massiccio dai muscoli pettorali ben pronunciati che ne facevano un degno tribuno di Roma.
Il capo, reclinato, ha i capelli che richiamano le tonalità comatiche dell’albero, quasi a dirci di una morte non avvenuta, ma di una vita terrena ancora presente, la visione cioè di un uomo che si avvicina alla terra e che non sente prossima la chiamata al cielo.
Irene in abiti solenni in sintonia cromatica con l’insieme, di gusto rinascimentali, di donna liberta abituata a vivere onorevolmente nelle corte imperiale, con la mano sinistra porge una carezza quasi da innamorata al volto dell’uomo, legato ancora all’albero, e con la destra tiene una freccia tolta dal costato che non sanguina.
Il costato del Cristo, trapassato dalla lancia di Longino, segna la morte avvenuta, nel momento in cui, come ci ricorda l’evangelista, ne uscì “sangue ed acqua”; qui, invece, il costato privato dalla freccia letale, nell’asciuttezza dell’incarnato, evidenzia il rimarginato ematoma, come per dire che la vita continua a pulsare, nonostante la goccia di sangue, in primissimo piano sulla coscia sinistra trafitta da una freccia.
Il volto di Irene, del resto, non manifesta dolore ma amorevolezza a recuperare un corpo ferito si, ma ancora vivo sia pure stressato e spento momentaneamente nelle forze fisiche.
Contrariamente al solito, il santo non è raffigurato a dimensione umana intera, ma, quasi zumando in primo piano, è raffigurato dal perizoma in su, come per convincere anche lo spettatore, con la visione ravvicinata, che la morte non è presente in questo corpo vigoroso e per niente accasciato.
Il santo, secondo la “Passio”, apparve successivamente in sogno ad una matrona romana di nome Lucina indicantele il punto in cui si trovava il copro esanime, corrispondente al luogo in cui poi fu sepolto, ossia, ad Catacumbas sulla via Appia, che oggi portano il nome di Catacombe di San Sebastiano.
Pasqua, 4 Aprile 2010
Note critiche del Preside Domenico Camarda
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